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Una recensione di Anna Gertrude Pessina a “Mitografie”

26 marzo 2012

La svolta onirica di Giuseppe Vetromile e il suo Ulisse minore

Perennemente in fieri, la poesia abiura solstizi e morte stagioni. Il suo spartito di grida e sussurri, illuminazione e folgorazione, spasmi e travagli, introspezione e romitaggi dell’io è il canto impe-rituro del poeta, inesaustivamente intento a sfogliare, quasi a lui solo sia dato svelarne il mistero, il grande libro dell’eterno vero, acqua sorgiva sulle pulsioni della sua curiositas. Una curiositas in-controllata, senza freni e cablature, prospettica, caleidoscopica e con obiettivo l’ansia di auscultare, intercettare, a seguire la recente fatica del Vetromile, enumerare molliche di sogni, visioni e fole di mondi fantastici, solido antemurale al peso di giorni sempre uguali.

È la svolta e la dimensione onirica del nostro poeta , noto agli amanti ed estimatori di Tersicore per aver dato alle stampe una copiosa messe di sillogi, suggerite da contingenze del proprio privato e interrelate con la pertinenzialità del contesto.

Seguendo da tempo storico l’iter ascensionale del Vetromile, ne apprezzo da sempre dinamismo linguistico e contenuti, peculiarità che non finiscono mai di sorprendermi per il proteismo del fan-ciullino che è in lui; un fanciullino che dallo spiralato salariato trasmigra, con un fardello di pro-blematiche inconfutabili, nell’Ulisse minore, uomo comune tra gente comune, in cerca di risposte almanaccabili, non circostanziabili, perché nessuno conosce il vero senso dell’andare.

Come già detto, è il nuovo polo della lirica vetromiliana. Essa prende spessore e consistenza nei dieci componimenti del citato Ulisse minore, perla di un messaggio unico e singolare, indipenden-temente dalle suggestioni che lo adultizzano e convertono in parola evocativa e pregnante, mera eccellenza dell’endecasillabo caudato, foneticamente e semanticamente armonizzato.

Nel pamphlet, che apre il volumetto collettaneo Mitografie, edito dalla Kairós, l’Ulisse vetromi-liano è un uomo come tanti, fagocitato da interrogativi afferenti il finalismo dell’essere nel ciclo in-cessante della materia che torna alla materia, partendo da un punto e ritornando nel medesimo punto.

Quesito ancestrale e senza soluzione di continuità: congiunto con una forma di scontento perma-nente, sollecita l’io narrante a traguardare, sulla scia degli eroi classici, mari non propri, senza che l’inattingibile diventi attingibile e comprensibile per il limitato intelletto umano. Allora la curiositas di scoprire cosa si nasconda sotto la veste del sole, di rivisitare Ogigia e Calipso, le Sirene e Poli-femo, Eolo e Apollo, si smorza per l’impossibilità di svelare arcani che sono rimasti tali anche per i personaggi mitologici che, tuttora, affascinano l’immaginario collettivo. La realtà irrecusabile è che il naturale bisogno di appagamento non può trovare pace in nessun porto. Sterile, perciò, a lume di ragione, disturbare il silenzio di Polifemo che sonnecchia alla sua pietra/ immobile nel tempo, sen-za sapere sciogliere enigmi di nuovi cieli. Persino lui difetta della qualità di antivedere: il suo oc-chio guardingo… è velato dal bonario trascorrere di giorni uguali. Sterile cercare Itaca distante, lontana: tra le sue pietre non si dipana bandolo di rivelazione che possa soddisfare l’andare, il viag-gio onirico della fantasia. A ragion veduta, non sarà erroneo rintracciare il teorema dei perché nelle piccole grandi cose della quotidianità. Come rinnegare, ad esempio, quella viva ed autentica del condominio? Lì, non viene meno la certezza di una Penelope, pilastro d’attesa, che tesse le mura di casa/ con sorrisi di vestaglia. È questo l’approdo dell’uomo materia tra la materia? Indubbiamente sì! Forse, più che inseguire chimere, naufrago e peregrino su mari non propri, il vetromiliano Ulisse minore si consapevolizza che è preferibile guardare vicino e cercare placamento alla mancata chiarificazione di enigmi, che metterebbero in difficoltà finanche la Sfinge e la Sibilla, nel mi-nimalismo del suo condominio, dove gli eroi di tutte le mitologie sono uomini e donne con occhio, come Polifemo, velato dal bonario trascorrere di giorni uguali. Certo non affabulano come gli dei e le dee greche, ma in cambio sono carichi di quel calore domestico intimo, confidenziale che su-scitano i sorrisi di vestaglia.

Lì, quando avrà compiuto/ il grande periplo, Ulisse-Vetromile, eteronomo dell’uomo basso, intriso di materia e di regole fisse, ritroverà eterna la sua Nausicaa anastasiana, come già Celeste, Rosamaria, Arianna, unico ubi consistam solido, stabile, senza nulla di utopico e di trascendentale.

Anna Gertrude Pessina

MITOGRAFIE, di Giuseppe Vetromile, Aldo Ferraris, Vincenzo Di Maro, Paola Casulli; Ediz. Kairos, Napoli, 2012; prefazione di Antonio Spagnuolo.

La presente nota critica è tratta da: http://www.literary.it/dati/literary/p/pessina/mitografie.html

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